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mercoledì 13 aprile 2016

Pensieri fibro in libertà. I gruppi di auto-aiuto: quanto sono utili?


Sto seguendo un gruppo di auto-aiuto su fb e mi stanno tartassando di richieste di contatto... Sembra che so come risolvere un problema, un po' per deformazione professionale, ma più per generosità e disponibilità, tendo a volere essere di aiuto agli altri accantonado i miei problemi, che vedo più tardi tra me e me...
Nessuno spazio per dire di no agli altri?
Pur essendo predisposta all'altruismo, mi trovo a dovere fare i conti con le mie esigenze di spazio per la salute personale e devo scegliere di appartarmi in solitudine.
Scrivo sempre i miei pensieri da tempo e per questo oggi parlo dei cosìdetti gruppi di auto-aiuto con tutti voi che sicuramente ne avete già fatto esperienza più o meno positiva.

Vorrei fare luce sui meccanismi psicologici che si instaurano in questi gruppi: penso che alla fine ci stiano mettendo in un contenitore abbandonati a noi stessi a parlare solo dei nostri mali per tenerci impegnati e non  disturbare i medici.
Effettivamente un po' di sollievo lo danno questi gruppi, sia virtuali che non...
In un primo momento sembra di alleggerirsi e sentire meno problemi, per via della condivisione ed analogia dei sintomi, poi però il nostro sistema nervoso reagisce male e diventa "troppo" sentire anche un lamento in più.

Quindi, mi chiedo: a cosa servono questi contenitori se non a togliere problemi ad un sistema sanitario che dorme?
Per noi malati, stare in gruppo, rappresenta un palliativo, un tamponare momentaneanmente l'ansia: ma tra i partecipanti c'è sempre chi ha un tono più alto di preoccupazione e questa, si infiltra negli altri portando alla luce nuovi elementi per allarmarsi.
Ci sono molte risposte e soluzioni proposte per la nostra malattia, ma le vorremmo sentire su di noi come un abito cucito su misura. 

Arriva un momento in cui il gruppo ci "espelle" oppure è automatico per noi abbandonarlo, in quanto non vogliamo più alimentare quel lamento e questo non vuole dire che siamo guarite, ma che abbiamo un ritorno dell'eco dei nostri lamenti, un boomerang che amplifica i sintomi provocando un rigetto sociale.
Chi arriva a questo punto, crede di avere risolto la Fibromialgia, perchè sta meglio di qualcun'altro quando non ne parla. Ma non è così...
Ignorare un problema non significa risolverlo.

Questa reazione, infatti, è plausibile soltanto se vista come meccanismo di difesa nomentaneo: quando suona la sveglia spegniamo l'allarme, ma resta il fatto che dobbiamo alzarci, se non lo facciamo la sveglia suonerà ancora.
Questo meccanismo di difesa non è obiettivo.
Quanto di quello che accantoniamo non andrebbe invece valutato come sintomo? Cioè, nel contesto di una visita medica, per una reale diagnosi differenziale, tendere all'esclusione aprioristica di altre patologie.
Ma questo è un campo di competenza del medico, non del paziente.
Ossia esigere una visione altra da quella contemplata dalla medicina ufficiale.
In alternativa occorre rivolgersi a un medico che non sia imbrigliato per convenzione (o interessi) alla suddetta.

Se il sistema sanitario ci desse la possibilità di stare tranquille con la verifica dei sintomi, sarebbe già un gran passo per affrontare tutto con più serenità...
Invece siamo noi che dobbiamo autodiagnosticare se un sintomo più ricorrente possa essere ricondotto a qualcosa di diverso dalla Fibromialgia.
Molti dottori si lamentano di questa autodiagnosi, giudicandoci e criticandoci che non dovremmo chiedere a "dr.Google"... ma se andiamo dal medico per ricevere una finta rassicurazione tornando a casa con più dubbi di prima, non ha senso e men che meno utilità.
Quando il medico minimizza le nostre problematiche, in realtà, non fa altro che contribuire al nostro peggioramento, psicologico e non solo (siamo psicosomatici a senso alternato?), forse senza rendersene conto.

La necessità per un malato è, fondamentalmente, trovare il transfert terapeutico giusto, quello cui poter rivolgersi sapendo di essere ascoltati, senza pregiudizi e con professionalità.
Dare il peso giusto alle problematiche sia fisiche che psichiche e collaborare insieme per la cura: è questo ciò di cui abbiamo bisogno oltre ai gruppi di auto-aiuto fra malati che non contemplano una guida tecnica.

Studiarsi da soli è difficile, si resta imprigionati in un groviglio di allarmi, anche se alla lunga si impara a conviverci, soprattutto per istinto di conservazione, i problemi restano lì irrisolti.

Persino gli psicologi e gli psichiatri che lavorano sempre a contatto con persone malate hanno bisogno di scrollarsi di dosso i propri problemi, appunto, parlando con altri colleghi.

Pur restando altruisti, non ci si può annullare per gli altri, sarebbe sbagliato porsi in questi termini. Nessuno in questo campo può davvero aiutare gli altri se non è in grado di aiutare se stesso.

Nasce così per me la necessità di appartarmi nel mio spazio per aiutare prima me stessa, e tuttavia spero di avere contribuito a dare più luce e chiarezza anche a voi che leggete.

Buona giornata a voi e grazie per il momento di condivisione.

Morena Pantalone



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